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venerdì 31 dicembre 2010

BUON 2011 A TUTTI

BUON 2011 A TUTTI
Non ti auguro che nessuna nuvola adombri la tua via
e neppure che la tua vita futura sia come un'aiuola colma di rose,
non che tu non abbia mai rimpianti,
non che tu non debba mai provare dolore.
NO, non è quanto ti auguro.

Il mio augurio per te è
che quando altri ti metteranno delle croci sulle spalle,
tu possa essere valoroso nell'ora delle prove,
quando avrai montagne da scalare
e abissi da superare,
quando la speranza sarà ridotta
a poco più di un lumicino...

Che ogni dono che Dio ti fa, cresca con te
e che ti serva per donare gioia a chi ti vuole bene.
Che tu abbia un amico
che merita questo nome,
di cui ti possa fidare,
che ti aiuti quando sei triste,
che affronti con te le sfide
della vita di tutti i giorni...

Ti auguro ancora una cosa:
che tu possa nella gioia e nel dolore
sentire sempre la vicinanza di Dio.

Questo è il mio augurio per te
e per tutti quelli che ti vogliono bene.
Questo è il mio augurio per te
e per tutti i giorni a venire.

Benedizione irlandese

giovedì 23 dicembre 2010

L’ESTASI DI MARIA

L’ESTASI DI MARIA SS. IN ATTESA
DELLA NASCITA DI GESU’


  



Maria non è una mamma come tutte le altre, è la Madre di Dio! Cosa può aver provato nell’attendere la nascita alla Terra del Suo Figlio-Dio? È Gesù stesso che ce lo rivela in queste pagine ultraterrene.


Dice Gesù:[1]

«Se tutte le donne che non sono delle depravate conoscono l’estasi della gioia femminile pensando alla gioia della prossima maternità, quale estasi avrà raggiunto la santa Madre mia ormai prossima alla sua sublime maternità?
Maternità bene intesa è vertice d’amore. Più caldo dell’amore che unisce i figli di una sola cuna, più casto dell’amore che unisce due carni, l’amore materno, quando è giusto, è l’amore completo, perfetto e più alto degli amori della Terra.
Ma Maria non era soltanto la creatura che ama la creatura che si forma in lei e che è il frutto di un duplice amore di creature. Maria amava nel suo figlio Dio, a Lei venuto con la sua Volontà, col suo Amore, con la sua Ubbidienza, a farsi carne della sua carne.
Guardava l’inviolato ventre suo e lo vedeva ciborio del Dio vivo. Sentiva pulsare un altro cuore e lo sapeva Cuore di un Dio fatto carne. Anticipava col desiderio il momento di fare delle sue braccia l’altare mio per la prima offerta dell’Ostia di perdono. Ed a Se stessa giurava di amarmi come solo Essa, senza peso di colpa, poteva amarmi per riparare in anticipo ciò che già faceva lacrimare il suo occhio e sanguinare il suo cuore: le torture della mia missione di Redentore.
Se è costume dei pii di compiere uno spirituale ritiro alla vigilia di un evento per loro importante, per poter conoscere la Volontà del Signore ed esser degni della sua benedizione sull’opera che sta per iniziarsi, potete ben comprendere come questa Creatura, già perfetta nella orazione, si sia cinta di mistici veli per isolarsi in uno spirituale ritiro che sempre più crebbe quanto più l’evento era prossimo a compiersi.
Il viaggio da Nazareth a Betlemme fu compiuto da Maria come se la stessa fosse circondata da una mistica clausura aperta solo verso il Cielo, che sempre più si avvicinava a Lei per esserle sopra con tutti i suoi splendori, le sue teorie angeliche, le sue armonie celesti, come velo di baldacchino regale trapunto di gioielli.
Era già nell’estasi. E la folla che vedeva passare un uomo silenzioso conducente alla briglia un asinello cavalcato da una poco più che fanciulla tutta assorta in un suo pensiero interiore, si scostava perché pareva che una luce emanasse da quel gruppo e dietro ad esso rimanesse un profumo celeste. E non sapeva la folla spiegare il perché i più poveri fra essa paressero dei re davanti ai quali le folle si dividono in ossequio come onde di mare solcate da maestosa nave.
Era la Stella del Mare che passava, era la nave portante la Pace che passava fra la guerra del mondo, era la Vincitrice che passava dove Satana aveva strisciato, per mondare la via al Verbo che veniva per ricongiungere Cielo a Terra.
Pallida e mite andava incontro all’Amore, non più unicamente abbraccio di fuoco spirituale, ma tepore di carni vere che eran di donna ma che erano Dio, e quando Giuseppe rompeva quell’estasi penetrandovi rispettoso come varcasse le soglie di Dio, per dare alla sua Donna conforto di cibo e riposo, non erano parole lunghe, ma solo uno sguardo, una parola: “Giuseppe!”, una stretta di mano, e in Giuseppe si rovesciava l’onda dell’estasi come da coppa colma fino al bordo.
Le parole turbano l’atmosfera dove vive Dio. Né per i giusti occorrono parole per esser fatti persuasi della presenza di Dio e dei mirabili effetti di essa presenza in un cuore.
O si crede o non si crede. Se avete Dio in voi credete poiché sentite Dio, oltre i veli della carne, vivente in una creatura. Se non avete Dio, nessuna parola può farvi persuasi della fusione di Dio ad un cuore umano. È la fede che dà capacità di credere, ed è il possesso di Dio che dà possibilità di vedere Dio vivente in un vostro simile. Non si può spiegare con metodo umano il mistero di Dio, i perché di Dio. Sono al disopra dei vostri metodi. Solo vivendo umilmente nel soprannaturale potete vedere, per lo spiraglio aperto dalla Bontà, per voi, gli spirituali rapporti e gli estasianti contatti fra un’anima e Dio.
Come faville danzanti in un incendio, le creature prescelte da Dio per l’estasi vivono in una festa di fulgori, in un ruggire di fiamme divine, in un fondersi di favilla a fiamma per sempre più vivere, accendersi e accendere. Alimento che si alimenta al Centro dell’Amore, esse portano all’Amore il loro amore e ne aumentano la gloria, e da esso Amore traggono vita e gloria propria.
Maria aveva in Sé il Fuoco santissimo ed era fuoco. E le leggi della vita erano quasi annullate da questo vivere d’ardore. E sempre più si annullavano quanto più l’incendio si avvicinava per mutarsi in Carne testé nata, onde nel momento beato del mio apparire al mondo Ella sprofondò nell’estasi, nel fulgore del Centro di Fuoco da cui emerse portando sulle braccia il Fiore dell’Amore,  passando dalle voci della divina Fiamma alle melodie angeliche, dal rutilare della Trinità contemplata fino alla fusione, alla visione dei cori angelici scesi a dare l’annuncio alla Terra e la promessa di Pace ed a fare corona alla Madre Regina, alla Madre del Re dei re, e dopo aver abbracciato Dio col suo spirito rapito abbracciò il Figlio di Dio, suo Figlio, con le sue braccia che non conoscevano abbraccio d’uomo



[1]Maria Valtorta -  I Quaderni del 1943  – 27-11 – ed. CEV.
http://www.youtube.com/watch?v=ksQVwbbseSg

mercoledì 22 dicembre 2010

....festeggia lo stesso!

Anche se non ci fosse assolutamente nessuno vicino a te, festeggia lo stesso questo periodo natalizio.

Non dire mai che non serve a niente mettere decorazioni e fare preparativi per il Natale, quando si e' soli.
C'e' una ragione, la migliore di tutte : tu....Tu sei importante per il Signore, come qualsiasi altra persona sulla terra.
Questo e' un periodo molto speciale, quindi fanne parte anche tu, in un modo speciale, con la musica e tutto il resto.
Se fai in modo che restare con te sia una gioia, non resterai solo...

Auguri Scomodi

AUGURI   SCOMODI
 
Carissimi, non obbedirei al mio dovere di vescovo se vi dicessi “Buon Natale” senza darvi disturbo.
Io, invece, vi voglio infastidire.
Non sopporto infatti l’idea di dover rivolgere auguri innocui, formali, imposti dalla routine di calendario.
Mi lusinga addirittura l’ipotesi che qualcuno li respinga al mittente come indesiderati.
Tanti auguri scomodi, allora, miei cari fratelli!
Gesù che nasce per amore vi dia la nausea di una vita egoista, assurda, senza spinte verticali e vi conceda di inventarvi una vita carica di donazione, di preghiera, di silenzio, di coraggio.
Il Bambino che dorme sulla paglia vi tolga il sonno e faccia sentire il guanciale del vostro letto duro come un macigno, finché non avrete dato ospitalità a uno sfrattato, a un marocchino, a un povero di passaggio.
Dio che diventa uomo vi faccia sentire dei vermi ogni volta che la vostra carriera diventa idolo della vostra vita, il sorpasso, il progetto dei vostri giorni, la schiena del prossimo, strumento delle vostre scalate.
Maria, che trova solo nello sterco degli animali la culla dove deporre con tenerezza il frutto del suo grembo, vi costringa con i suoi occhi feriti a sospendere lo struggimento di tutte le nenie natalizie, finché la vostra coscienza ipocrita accetterà che il bidone della spazzatura, l’inceneritore di una clinica diventino tomba senza croce di una vita soppressa.
Giuseppe, che nell’affronto di mille porte chiuse è il simbolo di tutte le delusioni paterne, disturbi le sbornie dei vostri cenoni, rimproveri i tepori delle vostre tombolate, provochi corti circuiti allo spreco delle vostre luminarie, fino a quando non vi lascerete mettere in crisi dalla sofferenza di tanti genitori che versano lacrime segrete per i loro figli senza fortuna, senza salute, senza lavoro.
Gli angeli che annunciano la pace portino ancora guerra alla vostra sonnolenta tranquillità incapace di vedere che poco più lontano di una spanna, con l’aggravante del vostro complice silenzio, si consumano ingiustizie, si sfratta la gente, si fabbricano armi, si militarizza la terra degli umili, si condannano popoli allo sterminio della fame.
I Poveri che accorrono alla grotta, mentre i potenti tramano nell’oscurità e la città dorme nell’indifferenza, vi facciano capire che, se anche voi volete vedere “una gran luce” dovete partire dagli ultimi.
Che le elemosine di chi gioca sulla pelle della gente sono tranquillanti inutili.
Che le pellicce comprate con le tredicesime di stipendi multipli fanno bella figura, ma non scaldano.
Che i ritardi dell’edilizia popolare sono atti di sacrilegio, se provocati da speculazioni corporative.
I pastori che vegliano nella notte, “facendo la guardia al gregge ”, e scrutano l’aurora,
vi diano il senso della storia, l’ebbrezza delle attese, il gaudio dell’abbandono in Dio.
E vi ispirino il desiderio profondo di vivere poveri che è poi l’unico modo per morire ricchi.
Buon Natale! Sul nostro vecchio mondo che muore, nasca la speranza.
 
Don Tonino Bello ( già Vescovo di Molfetta )

lunedì 20 dicembre 2010

BUON NATALE



Racconti di Natale

NATALE COL MIO ANGELO CUSTODE
Alvaro Correa - © 2009 Edizioni Art - Via dei Del Balzo, 10 - 00163 ROMA Tel. 06/66527784 - Fax 06/66527907

Il sasso messaggero

Giacomo tese la fionda e lanciò il sasso verso la pancia della nuvola più bianca che cera in cielo. Il sasso era gran­e quanto una noce ma, man mano che si allontanava, diventava come la più minuscola delle macchie di un dalmata.
- "Dài, in alto, più in alto!", urlava il bambino a gran voce. Se non fosse stato per la legge di gravità, quel sasso avrebbe potuto forare la nuvola da parte a parte e infrangere il parabrezza di qualche navicel­la spaziale. Che spavento per gli astronauti! Ma ci mise di più Giacomo a perdersi in tali fantasie che quel mini-proiettile a ricadere sulla terra.
Era il 24 dicembre. Come ogni anno, Giacomo, un ragazzino sor­ridente e irrequieto come uno scoiattolo, lanciava il più in alto possibile un breve messaggio che aveva scritto a Gesù Bambino. In effetti, il giorno prima aveva trascorso l'intero pomeriggio a incidere le parole, come uno scultore egizio, su di un sasso che aveva scelto tra i più lisci e chiari di un vicino ruscello.
Giacomo si appoggiò alla ringhiera della terrazza di casa e cercò di indovinare dove fosse caduto il sasso. Era difficile perché tra lui e quel punto indefinito si estendevano il giardino di casa sua, il viale che porta in paese, un pendio, il ruscello e una macchia di castagni. Il bam­bino semplicemente fissò lo sguardo in quella direzione, fece un gesto di saluto e ripose la fionda nella tasca posteriore.
- "Hai già spedito il messaggio?" gli domandò la sua sorellina, Sofia, affannata dopo aver salito le scale di corsa. La risposta era ovvia, dal momento che suo fratello aveva appena rinfoderato l"'arma".
- "Perché non mi hai aspettato! Volevo vederti!".
Perché Sofia ci teneva a vedere suo fratello lanciare quel sasso? Non tanto per curiositù da sorella minore, perché gliel'aveva visto fare cen­tinaia di volte e sapeva che, per la sua mira infallibile, Giacomo non aveva rivali tra i bambini del paese. La ragione era che Giacomo le aveva confidato che, se Gesù Bambino avesse letto il suo messaggio, sarebbe accaduto qualcosa di straordinario. E tutti sanno quanto siano allettanti le sfide per i bambini.
- "Fin dove è arrivato il sasso?", domandò Sofia, guardando in cielo e coprendosi gli occhi con una mano per ripararsi dal sole.
- "In alto, molto in alto! Fino a quella nuvola!", le rispose Giacomo indicando quella che aveva scelto, la cui pancia era ancora tonda e brillante.
- "L'hai colpita?".
- "Certo! Non vedi che ha un buco in mezzo?".
Si poteva dubitare che la fionda di Giacomo fosse tanto stroordino­ria, ma lui non credeva di esagerare sulla portata del suo tiro. Il suo cuore palpitava ancora per l'emozione di aver lanciato il suo messag­gio di Natale a Gesù Bambino.
Giacomo e Sofia scesero le scale a due a due, mentre la mamma, intenta a badare ai fratelli più piccoli, raccomandava loro di fare attenzione.
- "Mami, Giacomo ha appena lanciato il messaggio a Gesù Bambino", le sussurrò Sofia all'orecchio. La signora sorrise e abbroc­ciondoli si limitò a dire:
- "Sono molto contenta. Ne sarò felice, ma ricordatevi che Gesù Bambino non sa ancora leggere. Sarà la sua mamma, la Vergine Maria, a leggergli il messaggio".
Poco dopo, Giacomo correva a tutta velocitù sulla sua bicicletta verso il paese. Voleva vedere come proseguivano i preparativi per il Natale in casa dei suoi amici, in piazza e in parrocchia. Avrebbe rice­vuto notizie di prima mano, perché i suoi migliori amici erano Fernando, figlio del sindaco, Gerardo, cugino del padrone del nego­zio di giocattoli, Alfonso, figlio della preside, Marco, figlio del campa­naro e Bartolomeo, nipote di Don Andrea, il parroco.
Arrivando sul ponte di legno che attraversava il ruscello, Giacomo fermò la bicicletta. Messo giù un piede, guardò verso il bosco ed ebbe la certezza di aver lanciato il suo sasso più lontano dell'anno preceden­te. Si stava bene all'aperto e Giacomo senti l'impulso di addentrarsi un poco fra gli alberi. Non pensava di poter trovare il sasso, anzi, giustamente voleva essere sicuro di non trovarlo, a conferma del fatto che il suo messaggio era stato ricevuto lassù, in cielo.
Deciso, girò il manubrio e lasciò il sentiero che portava in paese. Subito dopo il ponte c'era un sentiero che si addentrava nel bosco, rico­perto da un tappeto di morbide foglie. Giacomo avanzò. Arrivò fino a un lieve pendio, scese dalla bici e l'appoggiò ai piedi di un albero da cui pendevano ancora alcune corde che aveva legato, giorni prima, insieme ai suoi amici. Diede uno sguardo per intravedere a malapena casa sua e calcolò la traiettoria che presumibilmente il sasso aveva seguito.
Giacomo prese a canticchiare una canzoncina natalizia. Il sole filtrava tra i rami degli alberi e qualche uccelletto cinguettava allegramente. Si sof­fermò a osservare un paio di scoiattoli che scorrazzavano sul tronco di un rovere centenario. Erano senza dubbio Romeo e Giulietta. Li aveva bot­tezzati così la prima volta che li aveva visti, e da allora era solito portar­gli un po' di noccioline e biscotti. Gli scoiattoli si fermarono e lo fissaro­no. Il bambino mise la mano in tasca, frugò a fondo e riuscì a trovare un paio di noccioline. Furono una gustosa merenda
Seguendo il sentiero giunse ad una radura; giudicò che il suo mes­saggio poteva essere atterrato da quelle parti. Si chinò e cominciò a cercare sul terreno attorno, interamente ricoperto da foglie secche, rami e funghi e qualche lumaca vi si aggirava senza timori. In quel momento senti una deliziosa melodia, alcune note di flauto dolce, che resero più magica l'atmosfera del bosco. Il bambino si girò su se stes­so per vedere chi era che stava suonando e vide avvicinarsi un giova­ne, vestito di bianco, il quale smise subito di suonare e con un inchino lo salutò.
 

La grotta della natïvità

"Ti piace il suono del flauto?" chiese a Giacomo quel giovane, con una voce che pure sembrava provenire da uno stru­mento, tanto era delicata e musicale.
- "Si, mi piace", rispose timidamente Giacomo, mentre lo scru­tava dall'alto in basso. Il giovane sembrava fatto di aria brillante e le sue vesti, ampie come tuniche, ondeggiavano mosse da un vento che il ragazzino non percepiva.
- "Non temere Giacomo".
A dire il vero, il bambino non era spaventato, ma sorpreso. Gli chiese: - "Chi sei?".
Il giovane gli sorrise benevolmente, come un amico che, presentato­si all'improvviso, non viene riconosciuto.
- "Forse è meglio se prima rispondi tu ad una mia domanda". Giacomo annuì e placò la sua curiositù. Sì, qualcosa gli disse che era più importante sapere qual era la ragione di quell'incontro: forse quel giovane era lì perché era stato mandato da Qualcun altro, e allo­ra sarebbe stato meglio saperne di più.
- "Cosa vuoi sapere? Credo che tu ne sappia più di me".
Il giovane parve lieto di sentire parole così piene d'umiltà e, facen­do un passo avanti, gli disse: - "Giacomo, vuoi fare adesso quello che hai scritto con tanto amore a Gesù Bambino?".
Il bambino chiuse gli occhi e la sua memoria lo portò al pomeriggio pre­cedente, a quel sasso che ruotava tra le sue dita come un mondo in minia­tura. Le parole che aveva inciso mandavano bagliori dorati. Quell'immagine nella sua mente era così nitida e chiara che per un momen­to dubitò che si trattasse solo di un ricordo. Aprì gli occhi e si rese conto che il giovane era ancora lì, di fronte a lui. No, non era un'illusione.
- "Allora, il tuo silenzio è un sì?", chiese il giovane. - "Sì, va bene", rispose Giacomo.
Appena le sue labbra pronunciarono quel decisivo "sì", sentì che il vento che agitava le vesti del giovane ora giungeva fino a lui. Era come una dolce carezza che iniziò ad avvolgerlo tutto. Il giovane lo prese per mano e insieme si alzarono in volo. Quella era una sensazione che Giacomo aveva provato solo nel mondo dei suoi desideri. In un batter d'occhio stavano già arrivando alla bianca e rotonda pancia della nuvo­la sua "amica". Ma, quando Giacomo fece per toccarla, iniziarono una rapida discesa, come un'aquila rapace. Stranamente il bambino non sentì lo stomaco arrivargli in gola, come succede sulle montagne russe. Al contrario, il vento continuava a mulinare intorno a lui, delicatamente, come se viaggiassero in una bolla d'aria condizionata. Giacomo intuì che quel giovane si muoveva portando con sé un pezzo di cielo.
Toccarono terra in campo aperto, vicino ad alcune case semplici, costruite con mattoni e paglia, e appena imbiancate da una mano di calce. Certo, era curioso di sapere dove si trovavano, ma Giacomo aveva ancora una domanda in sospeso.
- "Senti, tu sei un angelo, vero? ... E ce l'hai un nome o ti chiami solo 'angelo'?".
Dal momento che si trovavano in piena missione, quel giovane non poteva non rispondere:
- "Sì, sono un angelo. Scusa se non ti ho detto prima il mio nome, ma è che mi piace come mi chiami tu".
- "Ah, sei Angioletto?".
La differenza tra "un angelo" e "Angioletto" non era esclusivamente nel diminutivo. Per Giacomo "angeli qualsiasi" erano quelli che vedeva raffigurati nei libri di religione, nelle bibbie illustrate o negli affreschi della parrocchia. Ma Angioletto era e solo poteva essere il suo ange­lo custode, quello della preghiera quotidiana che dice: «Angelo di Dio, che sei il mio custode...».
Il ragazzino, felice, lo abbracciò. Cosa si prova ad abbracciare un angelo? ... Un giorno lo chiederemo a Giacomo.
- "Sai, io pensavo che tu avessi la mia stessa età. Come potevo rico­noscerti?".
- "Hai ragione, Giacomo, sono un po' più 'grande' di te, per poter­ti servire meglio. Comunque, sappi che per noi angeli non contano né l'età né la statura, perché non abbiamo nessuna delle due. La figura di me che i tuoi occhi vedono ora, è quella che Dio ha pensato adegua­ta per permettermi di incontrarti".
Il ragazzino capì, ma non del tutto. A undici anni tutte le cose erano semplicemente belle, perché Giacomo le accettava con amore.
Fu allora che Angioletto gli mostrò una grotta che si apriva ai piedi di un monte. Il bambino non l'aveva notata prima, e rimase stupito per­ché non ricordava ci fossero grotte nei pressi del suo paese.
- "Giacomo, siamo arrivati alla Grotta della Natività. Ci aspettano".